Ha del surreale il commento del presidente del Consiglio alla presentazione del recente decretino sul rilancio dell'economia: "così taceranno le cassandre". Quasi che intervenire con azioni di sostegno di famiglie e imprese fosse un fastidio di cui liberarsi per problemi di immagine e non una dura necessità per il bene del paese. I dati sull'andamento dell'economia sono quelli che sono. Quelli che risultano dai dati ufficiali e quelli che si sentono parlando con imprenditori, artigiani, commercianti preoccupati del futuro. Oppure i discorsi che posso ascoltare stando in fila ai supermercati di Padova o di Roma, indifferentemente.
Abbiamo il difetto di prendere sul serio i dati ufficiali, quelli che produce il Governo. E questi dati sono molto, molto preoccupanti. Nel 2009 avremo - dice il Governo - un calo della ricchezza prodotta del 4,6% (Confindustria spinge la stima a un -4,9%, Banca d'Italia oltre il 5: un calo così, ampio e prolungato, non l'abbiamo mai avuto nella storia recente). L'Istat certifica la perdita di 200.000 posti di lavoro nell'ultimo trimestre (Confindustria prevede al primo trimestre 2010 la perdita di un milione di posti di lavoro). Le esportazioni in aprile sono calate del 28,7% rispetto all'anno precedente, peggiorando ulteriormente i dati del primo trimestre. Peggiorano fortemente i dati di finanza pubblica.
Da un lato per la minor crescita del pil, dall'altro per un aumento della spesa pubblica (ahimè non per investimenti o per il sostegno del reddito ma per l'incapacità di contrastare le spese di funzionamento della macchina burocratica). Si prevedono 37 miliardi di entrate fiscali in meno. Si ha un bel dire che non serve una manovra correttiva: o si riducono le spese o ci si indebita ancora di più ma allora bisogna far fronte all'incremento della spesa per interessi che è già altissima. Cosa si dovrebbe fare in una posizione così pesante? Intanto non far finta di niente, o sostenere che una crisi che ha radici in tutto il mondo occidentale sia una questione psicologica. Le ricette sono chiare: più credito alle imprese, sostegni ai redditi più deboli sia sotto forma di contributi monetari che di erogazione di servizi delle strutture pubbliche, un piano straordinario ed immediato di opere pubbliche. Politiche che il Partito Democratico fin dal luglio 2008 ha indicato come necessarie formulando le proposte correttive alle varie manovre economiche che si sono succedute.
Ora esce un decreto che in parte (finalmente) si muove nella direzione che il Pd aveva indicato, ma lo fa tardi e con una tale debolezza di dotazione finanziaria da rischiare di essere ininfluente. Bisognerà vedere il testo definitivo perché troppe volte il governo ha annunciato interventi per decine di miliardi di euro che alla prova dei fatti sono diventati decine di milioni. Premiare fiscalmente gli utili reinvestiti delle imprese è una misura che ritengo giusta. Il Governo giustamente limita il trattamento fiscale agevolato ad investimenti innovativi veri (nelle precedenti versioni una parte consistente delle agevolazioni erano servite ad acquistare auto di lusso o immobili). Resta il fatto che i vantaggi si rifletteranno solo nell'esercizio 2010 e solo per le poche imprese che sono riuscite a realizzare utili in questo difficile momento. Per le altre nulla.
Così come sono debolissimi gli interventi di sostegno dei redditi deboli, che rischiano di fallire come i precedenti interventi presentati in pompa magna: la famosa "tessera dei poveri" ha un bilancio talmente fallimentare che lo stesso Governo decide di sospendere l'intervento. Di opere pubbliche ci sono grandi annunci, ma dei 10,9 miliardi del piano delle opere pubbliche neppure un euro è finora entrato nel sistema economico. Noi avevamo proposto di puntare ad un piano di opere pubbliche centrato sugli investimenti dei Comuni: una miriade di interventi a pronto impiego, ciò di cui si ha bisogno per sostenere la congiuntura.
Ricordo che la norma che prevede incentivazioni del 55% sugli immobili privati per i lavori di risanamento edilizio (voluta dal centrosinistra e mantenuta solo dopo una dura battaglia parlamentare) ha prodotto lavori per il sistema delle imprese stimati in 3,4 miliardi di euro: altro che le promesse di carta del piano delle opere pubbliche. Poi ci vorrebbero riforme: degli ammortizzatori sociali, di liberalizzazioni vere di mercati protetti, dell'Università e della formazione. Ma qui solo annunci e nessuna sostanza. Insistiamo sempre con proposte concrete. Ma il Governo fa finta di essere sordo.
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